Il Giardino delle Testuggini Sudicie

Io e i miei nuovi vicini non andiamo molto d’accordo. A dire il vero non li conosco nemmeno, sono arrivati da così poco. E’ solo che l’altro giorno ho trovato un post-it attaccato alla porta. Diceva:“Verranno a chiederti di noi, useranno le maniere forti. Digli soltanto che ce ne siamo andati. Carlo Moreno”.

Sono passati due giorni da quando ho letto quel curioso bigliettino. Ancora non si è visto nessuno. Comincio quasi a credere che sia tutto uno scherzo. Ho parlato con Antonio, il dirimpettaio, e con la famiglia di egiziani che confina coi Moreno, ma nessuno, a parte me, ha ricevuto strani messaggi. Inoltre, tutti ignorano il motivo che ha spinto alla fuga Carlo e i suoi. Nel giro di poche ore sono spariti nel nulla lui, sua moglie, il figlio di dieci anni e persino la tartaruga di terra che pascolava docile nel loro giardino. Ma nessuno sa niente..

L’orologio design a forma di navicella spaziale batte le 24. Sono sul divano, intento a guardare senza reale interesse, l’ennesima serie tv americana. Le vicende girano attorno ad un serial killer che ammazza solo serial killer con la erre moscia. Un’idea affascinante e per niente usuale. Ma la mia mente distratta vaga altrove. Nonostante simuli tranquillità e un invidiabile autocontrollo, da quando i miei occhi si sono posati su quel post-it qualcosa nella mia testa si è incrinato e i miei “sensi di ragno”, per dirla alla Peter Parker, sono stabilmente posizionati sulla modalità ‘stand by’. La porta di casa è al centro delle mie attenzioni, protagonista assoluta dei miei orizzonti domestici: occhi e orecchie, infatti, non le si staccano di dosso. Sono in attesa che il campanello della porta suoni a morto. Che qualcuno sbatta due paia di nocche contro quel legno tamburato tanganika mogano bruno. Perché tanto è quello che sta per accadere. Ne sono convinto. Lo percepisco. Spero soltanto che sia rapido, poco invasivo, come una dolce eutanasia, e che sia indolore. Odio la sofferenza fisica e la mia soglia di sopportazione al dolore è storicamente miserrima. Magari è semplicemente una paranoia la mia. Forse è colpa della mia vecchia abitudine a cercare infelicità laddove non ci dovrebbe essere. C’è chi si fascia la testa ancor prima di spaccarsela e poi ci sono io, che batto tutti i pessimisti del mondo saltando direttamente all’autopsia. Magari le “maniere forti” apposte in calce su quel post-it non si riferiscono necessariamente alla forza fisica, alla mia estinzione, alla redenzione. Magari busseranno docili testimoni di Geova dall’eloquio spavaldo e brutale che hanno conti in sospeso coi Moreno. Magari è la guardia di finanza che cercherà di strapparmi il nuovo indirizzo dei miei ex vicini minacciando di rifarsi sulle mie evanescenti finanze. E se, invece, fosse davvero un serial killer sulle tracce del capofamiglia, a sua volta coinvolto in crimini torbidi ed efferati? Questi ed altri pensieri si susseguono vorticosamente ingombrando la mia mente fino a quando la stanchezza e la tensione accumulata colorano di nero dapprima la stanza, poi tutta la casa e, a ruota, quartiere, città, l’universo intero. Come ogni notte, è il sonno a venirmi a cercare. Non capita mai il contrario.

Quando riapro gli occhi è già mattino. E’ il sole che fa capolino al centro della stanza a suggerirmelo. Sono ancora sul divano, vestito da lavoro e con le scarpe sudice ancora infilate ai piedi. Mi alzo con l’unico obiettivo di buttarmi sotto un getto d’acqua arroventata quando, finalmente, accade l’inevitabile. 

Qualcuno suona al campanello. E’ proprio il mio. Con quell’inconfondibile ronzio metallico di sottofondo che rende il suono così maledettamente vintage. M’irrigidisco come se avessi guardato Medusa dritto negli occhi. Sento una primordiale paura salirmi su per la schiena, lentamente, su fino alla base del collo. Lo stomaco mi si aggroviglia e il battito cardiaco accelera rapido. Sto sudando, eppure non ho ancora mosso un muscolo. Il campanello suona ancora. Questa volta più deciso, un suono più arrogante, come se la persona al di là della porta sapesse benissimo della mia presenza. Faccio un bel respiro e con tre passi jeansati (perché indosso una camicia di jeans e non una felpa) sono davanti alla porta. Guardo attraverso lo spioncino con la precisa idea di fuggire e nascondermi nel caso la visione non fosse di mio gradimento. 

Un tipo sulla quarantina, cappello e tuta verde, vagamente sovrappeso riempie di riflesso la mia iride. Non sembra minaccioso e, avesse cattive intenzioni, data la sua corpulenza potrei sopraffarlo o perlomeno potrei uscire dal retro e correre più forte di lui. Mi sento il cuore in gola. Lo deglutisco e con compostezza apro la porta di casa. 


«Buongiorno mi chiamo Marcello e lavoro per CITES, l’ente che si occupa di salvaguardare le specie protette o in via d’estinzione» 


«Salve, cosa posso fare per lei?» 


«Abbiamo ricevuto una segnalazione circa una tartaruga, una specie rarissima, scomparsa dai nostri recinti e riapparsa da queste parti. La segnalazione, anonima naturalmente, ci ha condotti ai suoi vicini, i signori Moreno, ma in casa non c'è nessuno» 


Trattengo a stento una risata nervosa e liberatoria. Non ci posso credere. Tutto questo patire per una cazzo di tartaruga merdosa! Il muscolo cardiaco riprende a battere regolarmente e una sensazione di serenità smarrita comincia ad affiorare dalle mie profondità. 


«Mi sa dire quando posso trovarli?» – mi incalza l’omino verde 


«Guardi, non so che dirle. I Moreno se ne sono andati qualche giorno fa senza dire niente a nessuno. Forse sono andati in vacanza. Non so davvero che dirle» 


«Tutto può essere» 



«Ma davvero crede che abbiano rapito loro la tartaruga? O magari l'hanno comprata da qualcun altro?»


«Questo non lo sappiamo, ero qui proprio per chiarire, una volta per tutte, la spiacevole situazione»



«Capisco»


«Senta» – fa lui


«Le posso chiedere un favore?» 


«Senz’altro, mi dica pure» 


«Col suo permesso vorrei provare a cercare l’animale nel suo giardino. Ho appena ispezionato quello dei suoi vicini ma non ne ho trovato traccia. Magari è qui, nel suo. Questa specie può scavare in profondità nel terreno e nascondersi completamente» 


«Ma certo faccia pure. Penso non troverà nulla, ma non ci sono problemi» 


«Grazie, allora ne approfitto» 


«Grazie a lei, buona giornata» 


Chiudo la porta e questa volta, lascio che la risata soffocata poc’anzi, si libri nell’aria e rimbombi per tutta la casa. Mi butto sul divano, il mio vecchio e fidato compagno di avventure notturne, e me ne sto lì per qualche secondo a soppesare l’accaduto. Mi maledico per la mia ansia snervante e per la mia stupidità, contemporaneamente m’immagino di ritrovare la cara vecchia testuggine nel mio giardino e di fracassarle il guscio con il badile che tengo nella rimessa. Così, giusto per sfogarmi un po’. 


«Trovata! Signore l’ho trovata!» 


L’urlo proviene da fuori e appartiene al buon Marcello. A quanto pare quella stronza ha pensato bene di sotterrarsi nel mio giardino. Mi alzo nuovamente e mi dirigo verso il giardino. Quando apro la porta, però, quello che vedo mi toglie il respiro. Marcello giace sdraiato in terra davanti a un mucchio di terra smossa. In fronte noto con terrore un foro di proiettile e il primo rivolo di sangue che fuoriesce. 


«Io tornerei dentro fossi in te» 


Una voce femminile squarcia quell’infinito silenzio. Mi giro lentamente, le gambe mi tremano e faccio una gran fatica a respirare 


Dietro una pistola ancora fumante incappucciata da un silenziatore scorgo una donna bionda, occhi azzurri, bellissima. In condizioni normali avrei sicuramente avvertito uno smottamento inguinale. Ma ora è tutt’altra storia. La paura che mi pervade è di gran lunga più seducente. 


«Ora io e te facciamo una bella chiacchierata. Dentro» 


Solo ora noto la sua erre moscia e quella schifosa di una tartaruga che ci spia, qualche metro più in là. 


(continua.. se ne avrò voglia)

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