Il Giardino delle Testuggini Sudicie (seconda parte)

Inchiostro stampato grossolanamente su sfoglie di pagine rosa macchiano le sue mani. Se ne sta lì, con in bocca l'oro del mattino, ad aggiornarsi sugli ultimissimi risultati di Champions League. Legge così che, nonostante un Messi a mezzo servizio, il Barcellona ha sconfitto i russi del Rubin Kazan con il punteggio di 2 a 0. Marcatori Piquet e Villa. Mentre le sue dita macchiano di nero una tazza di caffé grande quanto un cestello scolapasta scopre che, invece, stasera tocca al Milan, impegnato in casa contro il Chelsea.

Il calcio lo ha sempre affascinato. Non è un tifoso, anzi, odia la componente delirante che abita le teste di quelle scimmie urlatrici che infestano gli stadi e si fanno chiamare ultrà. 

È piuttosto attratto dal lato statistico del soccer, come dicono gli anglofili. Classifiche marcatori, albi d’Oro, Titoli nazionali ed europei, tutto trova spazio nella sua mente che cataloga e assorbe queste notizie disponendole con un ordine speciale in un archivio della sua memoria. Niente può sfuggirgli, e tutto viene assimilato senza reale sforzo. Non va alle partite e difficilmente le guarda in televisione, ma nessuno può togliergli il piacere di scoprire, il giorno dopo, l’esito finale di una sfida del campionato Inglese o spagnolo, l'avvincente epilogo di uno spareggio salvezza o di un incontro di vertice. Allo stesso modo può parlare con competenza di calcio in un bar sport snocciolando solo dati statistici senza aver visto nemmeno un minuto di partite. I numeri gli hanno sempre parlato, più delle persone, più degli amici, più dell'amore, più della vita stessa. Il suo vecchio lavoro consisteva proprio in quello: immagazzinare dati numerici che non potevano trovare posto, per questioni più grandi di lui, su alcun quaderno, alcun registro o file digitale. La sua mente era il taccuino su cui altri scrivevano le loro storie. In questo senso le statistiche sportive gli permettono di continuare a tenere un legame con quello che era prima, prima che la sua vita cambiasse, prima che la parola reclusione diventasse un’ombra in grado di seguirlo ovunque. Ora che la seduzione dei numeri è venuta meno, statistiche pallonare a parte, la lettura ha sublimato tutto quanto. Si potrebbe senza dubbio dire che la lettura, bulimica, è diventata la sua occupazione primaria. Legge a colazione, come in questo momento, cominciando dalle notizie sportive e non si alza dalla sedia fin quando anche l’ultima parola stampata su la Gazzatta dello Sport non gli si è impressa nella memoria. Dopo la doccia si sposto sul divano e riserva il medesimo trattamento a il Corriere della Sera. Segue una passeggiata nei pressi del nuovo quartiere stando attenti a non dare troppo nell’occhio e, una volta rientrato a casa, se il tempo lo permette, ricomincia a leggere questa volta concentrandosi su di un classico della letteratura. Attualmente è alle prese con la lettura di “Belli e dannati” di Scott Fitzgerald, un romanzo sul disfacimento morale generato nelle persone dal dio denaro. Ora come prima, difficilmente si avvicina a romanzi o opere di autori contemporanei. Alla domanda di sua moglie, insegnante presso la scuola media del paese, che gli chiedeva il perché del suo rifiuto a leggere il pluripremiato bestseller di turno, ha risposto così meno di una settimana fa:

«No cara, non penso che lo leggerò. Ritengo che tutto quello che c’era da scrivere sia già stato scritto dai Grandi del passato e soprattutto che il degrado sociale e culturale che attanaglia questo schifo di mondo dai ‘70 a oggi abbia compromesso le nostre capacità di scrittura, per cui, per quanto un giovane scrittore sia bravo e preparato, per quanto abbia davvero ‘storie’ da raccontare, la cornice in cui si muove e la realtà cognitiva, corrompono e contaminano ciò che si pensa e di conseguenza ciò che si scrive. Ci possiamo fidare solo dei numeri. Loro sono indeclinabili, immutabili, non ammettono riletture o mistificazioni di alcun tipo»

Ad ogni modo, la lettura del classico lo assorbe solitamente sino al pranzo. Finito il pasto, consumato in solitaria, dopo un riposino a letto che non supera mai le due ore, ritorna a leggere. Questa volta biografie di personaggi illustri. Ora è il turno di Antonio Gramsci. Leggendo le storie di questi uomini cerca somiglianze con quella che è stata la sua esistenza prima della ‘fuga’. Prova così a misurarsi col passato ingombrante di uomini che, con la loro vita, con le loro azioni o semplicemente per le conseguenze delle loro azioni, hanno cambiato o hanno contribuito a cambiare in qualche modo le sorti del mondo. E così si arriva a cena, questa volta in compagnia di moglie e figlio. Non è mai troppo loquace a tavola. Preferisce ascoltare o fingere di farlo, ma mentre le sue orecchie sono tese a sentire i commenti della giornata lavorativa di moglie o delle vicissitudini scolastiche del figliolo, la sua mente rimugina su quanto letto, su quello che ha imparato, sulle sfumature che ha colto, per poi precipitare nel ginepraio del suo ingombrante passato. Dopocena si accomoda sulla poltrona e lascia il divano al resto della famiglia che monopolizza il telecomando lanciandosi alla ricerca di qualche programma tv per cervelli bolsi. Per lui la televisione è un estraneo che ti offre caramelle e perciò predilige i fumetti del figlio, alla cui lettura si abbandona mentre sprofonda nel soffice abbraccio della poltrona. Le avventure de L’Uomo Ragno, de i Vendicatori e di Hulk lo trastullano per un paio d’ore. Fin da piccolo, i supereroi popolavano la sua fantasia di bimbo e ora che il tempo libero a sua disposizione ha preso il sopravvento su tutto quello che è stato, riaccende l’immaginazione di un tempo e scappa così dalla prigione domestica in cui si è intrappolato. Solo quando moglie e figlio vanno a letto si permette il lusso di perlustrare il palinsesto televisivo. Non odia la tv, più che altro odia l’effetto che fa alle persone. Quando un anno fa il poliziotto che lo teneva in custodia gli chiese per quale motivo non accendesse mai il televisore presente nella sua stanza lui rispose:

«Guardarla mi piacerebbe, eccome, non mi fraintenda. Ma cerco di resistere all’impulso di farlo perché i benefici sono di gran lunga minori degli effetti negativi che raccoglierei. Comprendo a pieno il fascino subdolo che essa esercita sulle nostre menti stanche. Dinanzi ad alcune trasmissioni deplorevoli ci si comporta come quando in macchina passiamo nelle immediate vicinanze di un incidente stradale: nonostante non ci sia niente di bello da vedere, nonostante si rallenti la nostra marcia e quella di chi ci segue, non riusciamo a resistere all’impulso voyeuristico di dare una sbirciatina. Ma quello che sbirciamo non è che un’anteprima dell’inferno. E io all’inferno ci voglio andare il più tardi possibile...»

Ma la carne è debole e l'inferno è come una donna bellissima in cerca di calore e debolezze, quindi talvolta anche lui cede alla tentazione di crogiolarsi davanti allo schermo piatto 40 pollici donatogli dal programma di protezione testimoni. Solitamente i suoi gusti prediligono qualche serie tv americana, magari un poliziesco, qualcosa che spezzi la monotonia del suo presente. Ultimamente sembra essersi appassionato a una serie tv che narra le vicende di un killer infiltrato nella polizia che sfoga il suo istinto omicida solo su altri criminali a patto che parlino con la ‘erre moscia’.

Il nuovo episodio andrà in onda proprio stasera. A tal proposito, resettando in un amen tutti i sui pensieri, abbandona la pagina sulla Champions League e si accinge a controllare nella sezione televisiva l’orario di messa in onda di Ted Rex, che sarebbe il nome del telefilm. Un attimo prima che i suoi occhi impattino quello che stanno cercando, il vecchio telefono nero appoggiato sul piccolo mobile all’ingresso della cucina inizia a squillare.


Lo squillo del telefono agisce come una bomba al tritolo nel turbinio di pensieri dell'uomo che, alzandosi di scatto, lascia cadere la tazzona di caffé che finisce in frantumi sul pavimento. Se ne sta lì, in piedi, a fissare l’apparecchio telefonico. Sembra chiedersi se non sia la mente a ingannarlo, come se la cosa non stesse realmente accadendo. È la prima volta che sente quel telefono trillare. Quando lui e la sua famiglia arrivarono in quella casa gli fu proibito di usarlo. Gli dissero unicamente che, in caso di pericolo, l’avrebbero sentito squillare. Le parole che usò quell’agente rimbombano ancora nella sua testa.

«Quando, e se, lo sentirete squillare avrete 12 ore di tempo per prendere le vostre cose e andarvene. Non appena alzerete la cornetta una voce vi dirà una e una sola volta i vostri nuovi nomi e il vostro nuovo indirizzo, assicuratevi quindi di avere con voi carta e penna. Dovrete raggiungere il posto indicato con la vostra auto e, a parte per andare in bagno e per mangiare, non dovrete fermarvi mai. Una volta giunti a destinazione troverete i nuovi documenti. Se dopo 12 ore non avrete ancora sgombrato la casa saremo noi a uccidervi. Non possiamo permettere per nessun motivo al mondo che entriate in contatto con loro»

Dopo aver recuperato carta e penna da un cassetto della cucina, si dirige verso l’apparecchio telefonico che continua a trillare imperterrito. Ha contato 12 squilli da quando ha iniziato a cantare. Alza la cornetta giusto in tempo per spezzare a metà lo squillo numero 13. La appoggia all’orecchio e resta in attesa. Mentre se ne sta all’ascolto, una goccia di sudore gli scende dalla fronte, giù fino al naso per poi scomparire in una delle narici. Quando la telefonata termina fa come per appoggiare la cornetta ma poi la riprende subito e se la riporta all’orecchio. Ma niente, la linea è muta. Non si sente più nulla, come se avessero appena reciso il cavo che va alla presa del telefono. Nonostante la tensione del momento, non sembra tradire particolari emozioni. Sapeva che lo avrebbero trovato, aspettava solamente il momento in cui sarebbe successo. Prima di prendere il cellulare e chiamare sua moglie, si infila il foglio nella tasca del pantalone e si mette a pulire il pavimento sporco di caffè. Lo fa con risolutezza come come fosse un rituale per mondarsi da chissà quale peccato originale. Dopo aver cancellato la macchia e aver ripulito e asciugato tutte le stoviglie si reca in salotto. Qui prende il celluare e, mentre con una mano scosta di poco la tenda della finestra per guardare fuori, con l'altra compone il numero della moglie.


«Cara, hanno chiamato»


«Chi? Chi ha chiamato?»


«Mi dispiace...»


Dopo un interminabile silenzio la voce consapevole della donna si fa strada faticosamente lungo la rete analogica


«Si, dispiace anche a me… Passo a prendere nostro figlio e sono subito a casa»


«Ti voglio bene»


«Si...»


Nel giro di mezzora moglie e figlio sono già rientrati. Il piccolo non dice niente, se ne sta lì buono buono mentre i genitori, rapidi, impacchettano le cose più importanti. Nessuna domanda, nessuna lamentela, soltanto tanta maturità per un ragazzino che è dovuto crescere troppo in fretta. Quando il padre gli si avvicina maldestramente per dargli una carezza, abbassa gli occhi contrariato e incrocia le braccia.

Il suo sguardo è lo stesso sguardo del padre quando il passato torna a farsi strada fra i suoi pensieri. È uno sguardo con cui nessun ragazzo di dieci anni dovrebbe avere dimestichezza

Più tardi, nella notte, tutti e tre salgono nella station wagon stracolma di roba e bagagli e lasciano silenziosamente il vialetto, salutando una casa che non li ha mai visti padroni. Passano alcuni minuti prima che la donna rompa un silenzio assordante che durava da troppo tempo:


«Si può almeno sapere dove stiamo andando?»


«Tieni. Ho scritto tutto qui»


«Cazzo, ci vorrà un’eternità»


«845 chilometri. In meno di otto ore saremo lì, vedrai»


«Si, ma chi stiamo per diventare?»


«Gira il foglio»


«Carlo, Olga e Giuseppe… E qui cos’hai scritto? Non si legge nulla! Ta... Tarta-ru-ga?!”


«Tartaruga, si»


«E che significa?»


«Al nostro arrivo capiremo»


«Ti odio… signor Moreno»


(continuo?)

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