Candeggina


Era caldo quel giorno. 30 gradi all’ombra diceva qualcuno. In ufficio le cose andavano un po’ meglio, mitigate dal vorticoso uso di aria preconfezionata. In sottofondo, da una radio lontana, One of Us di Joan Osborne contribuiva ad irrigidire un’atmosfera già di per se statica e soffocante. Il messaggio, quello che lei stava aspettando insonne da tre giorni, arrivò alle 14 e 59. Quelle poche parole appena comparse sul display del suo cellulare l’avrebbero catapultata fuori da quell’oceano d’incertezza in cui si trovava per determinare, finalmente, quanto lei valesse, accrescendo e nutrendo la sua autostima o distruggendola completamente, una volta per tutte. Il mittente del messaggio aveva celato la propria identità dietro un nome improbabile, ma a nulla era servito.
Lei lo aveva subito smascherato privandolo di qualsiasi vantaggio emotivo o psicologico. Si alzò, rendendosi così visibile a tutto l’ufficio, un’ampia stanza open space con mastodontiche finestre che si affacciavano tutte su una fatiscente area industriale. Fissò per un secondo Andrea, il suo dirimpettaio capellone. Lui ricambiò lo sguardo notando subito che la collega aveva ben altro per la testa che le pratiche doganali. Aggrottò le sopracciglia.

Marghe, tutto ok? Se fai così per i miei capelli, domani giuro me li taglio
Smettila! Mio padre al telefono”  - mentì, sforzandosi di sorridere - “Vado in terrazza a sbolognarmelo
Raccattò dalla scrivania una fattura intestata al cliente norvegese Juggernaut, il più importante della ditta e, nascondendovi sotto il cellulare, si allontanò dalla sua postazione. Le ci vollero circa dieci secondi per raggiungere l’ingresso del terrazzo, l’area fumatori dove 3, 4 volte al giorno usciva a respirare catrame coi colleghi. Una distanza ragionevolmente breve ma con quell’immane peso emotivo addosso, in quel lasso di tempo tutto, dentro e fuori di lei, rallentò cristallizzandosi nella sua testa.  E così, mentre procedeva al rallentatore zigzagando fra le scrivanie le sembrò di essere Neo, il protagonista di Matrix, capace di muoversi a piacimento all’interno di un mondo fittizio e artefatto dilatando il tempo e lo spazio attorno a lui. Allo stesso modo, in quei lunghi dieci secondi, Margherita fu in grado di vivisezionare la realtà attorno a lei notando cose a cui normalmente la sua mente non avrebbe mai fatto caso, dettagli infinitesimali che in circostanze usuali il suo cervello non avrebbe mai potuto e saputo processare. Ad esempio percepì perfettamente il peso del suo seno, che, assecondando la gravità, andava su e giù, sorretto a malapena da un reggiseno taglia quarta e da una colonna vertebrale abituata a uno stile di vita sedentario e indolente. Poi passò accanto ad Alessio il suo responsabile che, con la cornetta del telefono incastrata fra spalla e orecchio sinistro, stava armeggiando con l’ iPad aziendale: con sua grande sorpresa si accorse di essere perfettamente in grado di seguire l’incedere di quei polpastrelli e il loro saltellio su quella tastiera touch screen. Nonostante il tablet fosse capovolto intuì con estrema facilità cosa stava digitando: ‘sbiancamento anale’. Gli occhi di Alessio incrociarono i suoi per un attimo, fugace, ma Margherita spinse il proprio sguardo colpevole altrove, confusa e divertita di quanto aveva scoperto. Immaginò fosse un regalo di lui per il suo amante. Da qualche mese ormai girava voce in azienda che il capo fosse gay e se la facesse addirittura con Oscar il boss delle Risorse Umane. Aveva già letto qualcosa riguardo all’anal bleachinguna praticha che serve a farsi reinverdire, anzi reinrosire, l’ orifizio: un trattamento che fino a pochi anni fa veniva richiesto esclusivamente da porno attori per rendere più chiara la pigmentazione attorno alla zona dell'ano che, superata una certa età, diventa naturalmente più scura. Ebbe persino il tempo di pensare ad Alessio intento ad onorare qualche anniversario importante col suo Oscar tirandosi giù le braghe e mostrando all’amante il suo ano, nuovo di zecca, candido e luccicante come un marsh mallow pre arrostimento. Si trattenne a stento dal ridere coprendosi la bocca con la mano libera e abbassò il capo.
Una squarcio profondo sulla moquette verde vomito le ricordò che il traguardo era ormai vicino. Sentì il telefonino stretto nella sua mano sudaticcia diventare sempre più incandescente. E nemmeno per un attimo la sfiorò il pensiero che la persona dall’altra parte del mondo si stancasse di attendere abbandonandola a se stessa. Sapeva chiaramente che l’avrebbe aspettata, che le avrebbe lasciato tutto il tempo di cui aveva bisogno, ci fossero voluti altri tre giorni  per ottenere una risposta! Quando finalmente giunse davanti all’ingresso del terrazzo il livello di adrenalina nel suo sangue aveva già raggiunto livelli di guardia. Spinse la pesante porta grigia con la spalla destra e fu fuori. Il notevole sbalzo termico e la luce abbagliante del sole, per un attimo, la fecero vacillare. Desiderò di essere sola, non avrebbe voluto condividere quel momento con nessun altro tranne che con se stessa. Contò tre persone, invece, e le sue speranze di solitudine sbiadirono in un baleno. Diego, lo stagista reietto, se ne stava solo soletto nel suo  solito angolo. Sigaretta in bocca e quello sguardo sfigato e appiccicoso tipico di chi non si fa una scopata dal mesozoico. Gli altri due, invece, non aveva la benché minima idea di chi fossero. Un uomo e una donna. Lei, di spalle, rideva mentre lui, un bell’uomo molto somigliante al Mr. Big di Sex & City la incalzava con battute che Margherita non riusciva a captare. Le risate della donna coprivano tutto. Era una risata sguaiata ma allo stesso tempo ammiccante, di quelle che fanno venir voglia di incominciare a ridere anche se ci si è appena intrufolati in una discussione, in un gruppo, in un microcosmo di anime. Pensò che la donna fosse fortunata. Lei non lo era affatto invece. Margherita detestava la sua risata, un’insipida sequela di singhiozzi isterici. Mentre pensava a questo le tornò alla mente un vecchio ricordo, una scheggia dissotterrata, un pezzo di vetro luccicante da mettere in tasca e portare a casa. Aveva dieci anni e Don Mario, durante l’ora di catechismo, si lanciò in una delle sue classiche disquisizioni. A distanza di vent’anni si scoprì ancora in grado di rievocare quelle parole, nascoste in un cassetto della sua memoria:

“Pensate al modo in cui ridete ragazzi. La risata non si eredita! Il nostro dna, le nostre fattezze, son tutte cose che riconduciamo facilmente ai nostri genitori. Ma la risata, propria di ognuno di noi, non ha legami con niente e nessuno al mondo. E per quanto nella vostra vita vi sforziate, non troverete mai una risata uguale all’altra. Sapete perché? Perché essa non è altro che la vera voce della vostra anima

Rimase immobile per alcuni secondi mentre il suo sguardo si spingeva oltre il terrazzo, indugiando vicino a un gruppo di operai indaffarati. Nemmeno si stupì più di tanto quando del fumo denso cominciò ad uscirle dal naso. D’altra parte era stata proprio lei a invocarlo. In un primo momento questa nebbia nera, profonda e scura come i pensieri di un ubriaco inghiottì lo stagista, poi fu il turno della coppia. ll terrazzo fu presto preda dell’oscurità e in pochi istanti tutto l’edificio e le persone al suo interno scomparvero, inghiottite dal nulla. Allentò la presa dal telefono e sentì la fattura che aveva in mano scivolarle dalle dita. O forse era solo la sua anima che sgattaiolava via. Rimasta finalmente sola Margherita prese il cellulare e raccolse la sfida. Il primo round a Ruzzle era appena iniziato.



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