Sonnambullismo
Quando arrivai a casa la
sera dopo, Cate stava leggendo il racconto. Le sfilai davanti, mentre
lei sdraiata sul divano mi lanciò un'occhiata sfuggente, come quelle
che si danno agli orologi da parete quando si è troppo assorti nel
fare qualcosa e si ha paura di aver dilatato eccessivamente i tempi. Arrivai
in camera e senza accendere l'interruttore della luce lanciai il
pesante borsone sul pavimento e mi sedetti ai piedi del letto.
L'acido lattico era ancora in circolo nelle mie gambe e come sempre
accade dopo una bruciante sconfitta me ne restai lì al buio, con la
testa fra le mani, a pensare a quello che in campo non era andato.
Al rimbalzo che mi ero lasciato soffiare dal numero 8 e che, molto probabilmente ci era costato la partita. Come avevo potuto lasciarmi tagliar fuori in quel modo.. Come?
Al rimbalzo che mi ero lasciato soffiare dal numero 8 e che, molto probabilmente ci era costato la partita. Come avevo potuto lasciarmi tagliar fuori in quel modo.. Come?
“Chris, vieni qui!”
Non avrei voluto
muovermi, sarei volentieri rimasto lì un altro po' a compiangermi e
a nutrirmi del buio, ma mi alzai senza fiatare e andai incontro alla
sua voce.
“Mi spiace per la
sconfitta. Dai, ti rifarai alla prossima”
“Non ci sarà 'la
prossima', questa era l'ultima partita dell'anno, quella che ci è
costata l'ingresso ai play off..”
“Beh, allora vorrà
dire che ai play off ci andrete sicuramente il prossimo anno!”
“Si, sicuro” -
fu la mia poco convincente replica.
Già che ero in piedi,
strisciai fino al frigorifero. Tirai fuori il succo alla pera e mi
diressi verso la vetrinetta degli alcoolici
“Cri, cosa vorresti
fare ora? Sbronzarti per alleviare il dramma sportivo? Ti sembra una
buona idea?”
Sentii la sua voce
rimbalzarmi su una spalla come una pallina da ping pong. Tirai fuori
due bicchieri da shot e
una bottiglia di rum. Tornai sui miei passi e preparai la medicina
sul tavolo. Fui meticoloso, chirurgico. Versai il succo di pera, nel
primo cicchetto e poi il rum nel secondo. Poi con la mano destra li
presi entrambi, giocando in modo astuto con le dita. Li portai alla
bocca, introducendo prima la pera e poi il rum. Rimasi lì, un altro
po', con gli occhi chiusi ad aspettare che gli zuccheri del succo di
frutta amplificassero il sapore forte e amaro del rum.
“È buono lo sai”
- disse Cate
“Già, ne faccio uno
anche a te, ok?”
“No, quello che hai
scritto intendo. È davvero buono..”
Mi passai la lingua sulle
labbra e deglutii.
“Chris? Non dici
niente?”
“Non lo so Cate,
voglio dire, tutti quei soldi fanno gola ma, ammesso e concesso che
il racconto sia davvero 'buono', c'è soltanto questo. Non c'è
nient'altro, e qui si parla di scriverne almeno altri due. E poi
quella puttanata della 'Trilogia di Firenze' non si può sentire..
Chi cazzo sarei? Il Paul Auster dei poveri?”
“Cri, dico solo che
è buono, ben scritto, un ottimo lavoro. E che se fossi in grado di
scrivere 'altro', beh, allora io vorrei leggerlo sicuramente e se
voglio leggerlo io che sono una giornalista da quattro soldi e
qualche libro l'ho sfogliato, non vedo perché non debba farlo
qualcun altro. Del Rosso è stato chiaro: “altri due racconti così
e ti pubblico”. Tutto a spese sue, Einaudi Editore! Insomma, io un
tentativo lo farei.”
Mi versai dell'altro
succo di pera. Dell'altro rum. Li scolai in piedi, davanti a lei.
“Esco”
“Ma come?” -
fece lei - “sei appena tornato ed è mezzanotte”
“Torno presto”
Cinque minuti dopo ero
già in strada. A passo svelto, con le mani nelle tasche dei jeans,
percorsi due chilometri in poco tempo, l'acido lattico era soltanto
un brutto ricordo. Mi sentivo meglio, l'alcool aveva momentaneamente
disinnescato il pulsante della depressione e l'umore, lontano da
casa, era finalmente buono. Ancora poco e avrei svoltato in Piazza
della Passera.
Quando fui lì, trovai un
nutrito gruppo di persone ad attendermi. No, non erano lì per me: si
era da poco concluso un concerto. Intravidi la pedana di un palco in
legno e alcuni ragazzi intenti a smontare attrezzature varie.
Peccato, avrei volentieri ascoltato qualche nota. Anche io, in
passato, mi ero cimentato con la musica. Per due anni avevo fatto
parte di un gruppo, io ero il batterista, ma non eravamo granché a
dirla tutta, l'apice della mia breve carriera da musicante lo toccai
a una festa di laurea, da qualche parte tra Fiesole e Trespiano.
Tanti sconosciuti, tanto vino.. A fine concerto persi il rullante e
uno dei miei piatti zildjian, ma trovai l'amore. Ne trovai
due. Amori di una notte di mezza estate. Gli amori finirono all'alba,
più o meno in contemporanea con la mia carriera di musicista.
Mi misi a fissare un
ragazzo sul palco: in canottiera stava fumando e parlando con altre
persone. Tirai a indovinare e pensai fosse il batterista del gruppo
dato che indossava due polsini di spugna neri, come quelli che
indossavo io quando suonavo e che servivano a tergermi il sudore
dalla fronte mentre mi dibattevo sulle pelli immaginando di essere
Lars Ullrich.
Guardai l'orologio. Le
24:45. Tornai sui miei passi e presi posto su una sedia che si era
liberata e che apparteneva al locale che aveva organizzato la serata
musicale. Che cazzo ci facevo lì? Non è la prima volta che mi perdevo senza perdermi, che vagavo per Firenze senza avere una meta. Ma questo
lo so soltanto io, non le mie gambe che invece frullano e macinano
metri con determinazione come sapessero benissimo dove stanno
andando. A volte penso di essere affetto da una strana forma di
sonnambulismo, un sonnambulismo vigile che affligge però soltanto il
mio corpo e non la mia testa. Quasi come se saltassi in groppa al
primo sonnambulo di passaggio e mi facessi guidare da lui. Ne parlai
qualche mese fa con Andrea, il mio migliore amico, sentii il bisogno
di liberarmi da quel peso strano. La discussione fu un totale
disastro.. chiusi gli occhi e il ricordo di quella surreale
chiacchierata riaffiorò con vivido realismo.
...“Andre, te lo
giuro, a volte mi muovo a piedi ma non ho idea di dove io stia
andando!”
“Ok, ma non vedo
connessioni col sonnambulismo, magari abbozzarla con le canne ti
gioverebbe, che dici?”
“E invece è proprio
così credimi”
“Ma puoi essere
sonnambulo se dormi, non se ti vai a fare du passi”
“Quindi anche a te
capita di camminare senza meta, senza sapere se al prossimo incrocio
tirerai dritto a svolterai a destra?”
“Ora, cosi no..”
“Lo vedi allora che
è come dico io Andre! La settimana scorsa son partito da Santa Maria
Novella e sono arrivato a piedi a Compiobbi, di notte. Ma che cazzo
ci sono andato a fare a Compiobbi secondo te?”
“So una sega io.. Ma
questo non fa di te un sonnambulo diocane! Non è che se io di notte
vado a far risse poi il giorno dopo vo' dal medico per dirgli che
sono affetto da sonnambullismo”
“Ma senti che
cazzate mi tocca sentire”...
Riaprii gli occhi e mi
misi a ridere per la genialità di quella battuta. Il rumore che
emisi catturò l'attenzione di una ragazza seduta pochi metri più
avanti che si voltò per fissarmi. Bionda, occhi verdi e pelle
bianca. Non era 'bella' come possono essere le ragazze di vent'anni,
la sua età ipotizzai, ma aveva qualcosa in quei grandi occhi che non
mi permetteva di distoglierle lo sguardo di dosso. Aveva braccia
lunghissime e magre, nascoste a malapena da una camicia a pois rossi
con le maniche arricciate poco sopra i suoi gomiti ossuti. Stava
bevendo un tè da un bricco, e teneva la tazza con tutte e due le
mani come fanno sempre le ragazze, con le dita divaricate a
raccogliere tutto il calore.
“Ma non ti fa
caldo?” - la domanda uscì dalla mia bocca senza avermi chiesto
il permesso
“Come scusa?”
- quelle furono le prime di molte altre parole che mi rivolse quella
notte
“No voglio dire, fa
abbastanza caldo e qui tutti stanno bevendo altro. È solo strano
vederti bere del tè”
“Ah si, e tu chi
saresti, il sondaggista della movida fiorentina?”
“Magari, guadagnerei
di sicuro di più”
Si presentò dicendo il
suo nome e allungando la mano. Lo persi subito, il nome dico, mi
capita spesso quando sono concentrato sulla persona che mi sta
davanti. In questi casi, infatti, la mia attenzione viene subito
dirottata sulla stretta di mano. Ritengo si possano capire tante cose
da come una persona ti stringe la mano: la sua era bollente, e
vigorosa allo stesso tempo. Mi stupii di tutto quel calore ma poi mi
ricordai del te caldo e capii che non avevo nulla da temere, nessun
X-Men all'orizzonte. Mi invitò gentilmente a sedermi al suo tavolo.
Era in compagnia di altre due amiche, Viola e Gianna, le loro strette
di mano non mi interessarono minimamente. Arrivò subito un ragazzino
a prendere le ordinazioni. Chiesi del rum e pera ma mi disse che il
bar aveva finito il rum e che se volevo potevo prendere del gin
assieme al succo di pera. “Massì dai - dissi - succo alla pera col gin,
come i Sottotono!” Mi guardarono tutti straniti, mi smarcai
dando la colpa ai miei 35 anni suonati. Parlai con le ragazze per
circa un'ora, non ricordo bene di cosa si disquisì, ricordo invece
tutto quello che uscì dalla bocca di Ginevra, ecco qual era il suo
nome. 22 anni, studentessa di lingue, viveva a Firenze dal 2012 ma era
originaria del Molise. Conosceva quattro lingue, tra cui il cinese e
a otto anni aveva perso il padre in un incidente in barca a vela, era
vegetariana, fidanzata da due mesi con un ragazzo di Santo Spirito e
i suoi scrittori preferiti erano Hemingway e Calvino. Parlai anche un
poco di me, ma non volevo rubarle la scena. Le dissi la verità, le
raccontai di Caterina della nostra bella casa del mio noioso lavoro e
del lavoro che mi piacerebbe fare, della pallacanestro e di qualche
altra cosa ma più in generale le dissi che avevo paura. Si dimostrò
un'attenta ascoltatrice ma l'asticella dell'entusiasmo raggiunse il
suo zenit solo quando le confessai di essere un aspirante scrittore. Mi
implorò di inviarle qualche racconto su facebook, ma data la mia
completa latitanza dal mondo dei social network optammo per un
classico scambio di email. Mi colpì persino il suo indirizzo e-mail,
su di un tovagliolo rubato dal tavolo scrisse Hybris@gmail.com
Le chiesi cosa volesse
dire 'hybris', e lei rispose che non ricordava il significato esatto
ma che lo aveva scelto perché era il titolo di un album di tali Fast
Animals And Slow Kids, un cd che aveva divorato. Le dissi che non
li conoscevo ma che sicuramente gli avrei dato un chance. L'idillio
fu spezzato da un telefonino. Era il cellulare di Viola. La vespa di
Antonio, il suo coinquilino si era inaspettatamente fermata dalle
parti di Rifredi e Viola e le sue amiche, arrivate in centro in auto,
erano la sua unica speranza di salvezza. Odiai Antonio, non lo
conoscevo, non so perché la mia testa gli diede il volto di John
Travolta, quello impomatato di Grease. M'immaginai di
picchiarlo a morte col cric della macchina di Viola di pisciargli
sulla Vespa e di dargli fuoco. Ma ben presto mi ricordai di non
essere in grado di pisciare miscela e abbandonai i propositi da
guerrafondaio. Tutte e tre si alzarono dalle sedie e scusandosi con
me mi salutarono. Questa volta le baciai e tenni Ginevra per ultima. Quando si avvicinò, sentii la rotondità delle sue labbra
tatuarsi sulla mia guancia sinistra, avvertii anche la sensazione di
appicciacaticcio lasciatomi dal suo lucidalabbra. Quando si scostò
mi guardò ancora una volta negli occhi e disse: “Ciao
Christian, ricorda di scrivermi”
Io non dissi nulla,
semplicemente rimasi lì e, mentre la sua sagoma si allontanava, mi
tornò alla mente un verso di Lolita di Nabokov: 'Era amore a
prima vista, a ultima vista, a eterna vista'.
Quando presi la strada di
casa, le gambe questa volta fecero il loro dovere e si misero
d'accordo col resto del corpo. Al mio arrivo le luci erano tutte
spente e Caterina era già a letto. Andai in stanza, mi spogliai ma
non avevo voglia di andare a dormire. Baciai Cate sulla fronte, lei
ricambio con un tenero grugnito e me ne andai in cucina, la lavatrice
stava andando e dall'oblò potevo scorgere la divisa che avevo
indossato solo qualche ora fa vorticare rumorosamente. Rovistai nella
sua borsetta tirai fuori una sigaretta e me la misi dietro
all'orecchio. Presi il portatile lo misi sul tavolo e lo aprii. Andai
subito su wikipedia e cercai la parola 'Hybris': termine
tecnico della tragedia
e della letteratura greca, che compare nella Poetica di Aristotele.
Significa letteralmente 'tracotanza', 'eccesso',
'superbia', 'orgoglio' o 'prevaricazione'. Nella trama della
tragedia, la hýbris
è un evento accaduto nel passato che influenza in modo negativo gli
eventi del presente.
Aprii la posta
elettronica. Cliccai su nuovo messaggio, inserii l'indirizzo email di
Ginevra e allegai il file del racconto su Firenze. Il mio dito indice
tentennò per qualche secondo sul pulsante di invio. Poi cancellai il
messaggio e annullai tutto. Spostai il cursore del mouse sul racconto
per Einaudi e lo trascinai nel cestino. Lo svuotai. Cercai
l'accendino nella fruttiera in mezzo al tavolo e mi accesi la
sigaretta che tenevo dietro l'orecchio. La fumai tutta e buttai la
cenere per terra. Mi meravigliai di tanta maleducazione.
Con il mozzicone spento
ma ancora serrato fra le mie labbra aprii word e scrissi il racconto
più cazzuto della mia vita.
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