Come una piccola luce

(pubblicato su Il Fuco il 26/04/2021 e su Racconti dal Crocevia il 28/04/2021)

Ne era certo. As long as you love me dei Backstreet Boys, fra le canzoni che si potevano cantare sotto la doccia, era uno dei pezzi meglio riusciti. Nessuna ombra di dubbio, quasi che il quintetto dalla Florida l’avesse scritta apposta per quello scopo. Linea vocale snella e andante, buona per ogni tonalità, da quelle lugubri a quelle più acute e femminee. Da urlare a squarciagola o, un po’ più raffinatamente, da cantare con un filo di voce, con le mani incrociate sul petto e la testa reclinata a prendersi lo scroscio dell’acqua come fossero applausi. E poi quel momento da batticuore in cui le voci si sovrappongono, ma non abbastanza da impedire al docciante di fare tutto da sé… quella parte in cui ‘I don’t care who you are’ si trasforma nel coro di ‘WHO YOU A-ARE!!!’. Dove il seguente ‘Where you from?’ si espande nell’universo del ‘WHERE YOUU FROOOM?’ e lui si sentiva molto più cool di Nick Carter e non riusciva proprio a spiegarsi il perché la musica pop non lo avesse eretto a suo alfiere, almeno per un lustro. Sarà l’acqua calda che scorre impetuosa espandendo il suono, sarà l’avvolgente box doccia che funziona da cassa di risonanza, ma l’effetto scenico era assicurato. 
Appagato dalla performance canora e lindo e lustro come un panno fresco, si avvolse in un morbido accappatoio e si rimirò allo specchio. I trenta erano passati ormai da un pezzo, e tutti quei peli bianchi presenti nella barba erano lì a testimoniare che persino i Backstreet Boys avevano scollinato ormai oltre i quaranta. Assomigliava a qualcuno di familiare, ma non riusciva a capire bene chi. Forse qualcuno che aveva visto in qualche serie televisiva, uno di quei comprimari che solitamente morivano alla fine della prima stagione. Era un bell’uomo. Aveva lavorato in teatro per qualche tempo. Niente di importante. Prima una scuola, impegnativa ma appassionante, che gli aveva dato solide basi, poi con una piccola compagnia qualche esperienza in giro per l’Italia, che lo aveva illuso di avere qualche chances di farcela in quel difficile e competitivo contesto. Poi si era portato a letto la donna sbagliata, la fidanzata di uno degli attori di punta e la sua carriera si era più o meno interrotta, sul più bello. Prese in mano il pene e si dispiacque un poco di non essere riuscito a tenerlo a bada in quell’occasione. Il ripiego, dopo la sua personale defenestrazione dal mondo dei teatri, era stato diventare tecnico dei suoni e lavorare a spizzichi e bocconi nel malfermo e claudicante mondo della musica. 
Erano le otto di sera. Si doveva spicciare e raggiungere il locale dove lavorava ormai da un annetto buono. La band, che avrebbe suonato al locale quella sera, sarebbe arrivata nel giro di mezzora e lui era già in ritardo. Completò le successive operazioni a velocità supersonica e, in poco meno di dieci minuti, era già in macchina. Prima di partire cercò sul cellulare il messaggio di Riccardo, il direttore di sala, quello in cui si era salvato il nome del gruppo. Lo cercò veloce su Spotify e lo mandò col bluetooth all’impianto stereo dell’auto. Partì come un razzo, mentre le prime note imperversavano riempiendo l’abitacolo. Giunto a un incrocio, rallentò, prese di nuovo in mano il cellulare e registrò un messaggio vocale indirizzato a Riccardo.
“Oh, ma questi fanno cagare! Cosa ci dovrei fare io? Spero sia una serata per sordomuti quella che avete organizzato… ah, sto arrivando!”
Dopo una manciata di canzoni era già stanco di sentirli, ma per qualche strano motivo non riusciva a spegnere l’autoradio. Continuava a pensare alla missione impossibile che lo attendeva con quel gruppo e al fatto di essere il responsabile del loro suono, almeno per quella sera. Restò stupito e incredulo di fronte alla propria temerarietà. E all’onere che si era assunto. Dopo poco, girò a destra prendendo una stradina molto poco battuta, una scorciatoia che conoscevano in pochi. 
Fu una buca a mandarlo fuori strada. Nei giorni precedenti aveva piovuto molto e nel già vecchio e provato manto stradale si erano aperte diverse piccole voragini. Fu una delle più larghe e profonde a prendersi la ruota anteriore destra dell’auto e a causare l’incidente. Non si accorse quasi di nulla, soltanto, con l’impatto della ruota nella buca, perse il controllo dell’auto che uscì di strada e andò a sbattere contro un pero. L’impatto fu violento e soltanto la fuoriuscita dell’airbag gli evitò danni ben più seri. Poteva sentire l’adrenalina scorrere a fiumi mentre se ne stava lì, immobile, con la faccia affondata in quel che rimaneva dell’airbag. Si sentiva il viso bruciare: non capiva quanto il rimbambimento fosse dovuto alla fuoriuscita del dispositivo di sicurezza o all’urto con la macchina. Mentre era lì, gli tornò quello che aveva letto riguardo ai danni che si corrono quando l’airbag s’innesca e cioè che, molto spesso, il danno collaterale è causa di trami molto seri e talvolta, soprattutto se si perde conoscenza, si rischia persino di morire soffocati.   
Consapevole che, in un modo o nell’altro, il suo bel faccino sarebbe tornato presto a posto, volse l’attenzione al resto del corpo: le gambe, seppur a fatica, riusciva a muoverle, persino le dita dei piedi all’interno dei mocassini. Anche le mani stavano benone, provò quindi a tastarsi il petto e il basso ventre. Gli sembrò tutto ok. A quel punto, con le dita di entrambe le mani, premette sull’airbag informe che si afflosciò sotto quella flebile pressione. Provò a sganciare la cintura di sicurezza, ma senza riuscirvi. Anche la portiera non si apriva, bloccata in seguito al tremendo urto. Era completamente bloccato nell’abitacolo e ancora sotto shock. Guardò fuori dal finestrino, la strada era deserta e potevano volerci ore prima che un’altra auto passasse da quelle parti. Allora con la mano destra si frugò nelle tasche dei pantaloni alla ricerca del telefono: avrebbe chiamato Riccardo, gli avrebbe spiegato dove si trovasse e nel giro di qualche minuto sarebbe arrivato qualcuno a tirarlo fuori da quel guaio. Non fece in tempo a prendere in mano il cellulare che uno scoppio deflagrò nell’aria, assordandolo e spaventandolo a morte. Il cellulare gli cadde e finì sotto il sedile, dove le sue dita non sarebbero potute arrivare. Intanto, dal cofano dell’auto, fiamme vive ora bruciavano nell’aria mangiandosi il motore e aggredendo voracemente l’abitacolo stesso in cui era intrappolato.
***
C’era qualcosa infilato nel suo occhio destro che gli dava fastidio. Provò ad infilarsi un dito e a ravanare, ma la situazione parve non migliorare. Guidare di notte per una stradina di campagna e, per giunta, con un occhio solo non era il massimo. Era in ritardo, lontano dai luoghi che conosceva, i ragazzi lo stavano aspettando, e per questo motivo si era messo nelle mani del navigatore. Erano passate solo poche ore da quando aveva seppellito sua nonna e si sentiva ancora frastornato e apatico. Sua madre se ne era andata di casa pochi anni dopo averlo dato alla luce e, con un padre tanto preso dal lavoro, quella donna per lui era diventata la sua vera figura di riferimento. Non era stato tutto rose e fiori, molti furono i contrasti e ancora di più le preoccupazioni e le delusioni che, crescendo, lui diede alla nonna: le cattive amicizie, i suoi problemi di disciplina e le sue poco salutari abitudini, in fatto di droghe e donne, avevano spesso contribuito a rendere burrascoso il rapporto fra lui e la nonna. Ma in qualche modo, lei non si era mai arresa, non aveva mai allentato la presa sul ragazzo. Persino dopo quella diagnosi infelice, quella donna con l’argento nei capelli e l’oro nel cuore non aveva mai fatto mancare il suo appoggio e il suo affetto incondizionato al nipote.
Dopo poco, il fastidio all’occhio si fece insopportabile e si trovò costretto a fermare la sua corsa. Rimase coi fari e il motore accesi, per penetrare quel poco rassicurante buio, e tornò ad armeggiare col dito nella sua orbita oculare. Dopo qualche minuto e col favore di una abbondante lacrimazione, gli sembrò di essere riuscito a lenire il fastidio. Stanco per lo sforzo, il ragazzo rimase seduto per un po’ con il capo riverso sul poggiatesta, riflettendo sulla serata che lo attendeva e sulla sua vita in generale. Non riuscendo ad arrivare a grandi conclusioni, decise di ripartire. Stava per girare le chiavi nel quadro dell’auto, quando in lontananza vide una strana luce accendersi e brillare con una notevole consistenza; proprio laggiù dove prima non c’era niente, se non la campagna e la sua impenetrabile riservatezza. Non capiva se era la sua mente a giocargli brutti scherzi o se quella luce, in lontananza, fosse davvero reale. Dopotutto, si sentiva ancora emotivamente scosso dai recenti avvenimenti. Scese dalla macchina e con le mani in tasca fece alcuni passi in direzione del bagliore. Quasi inciampò su alcuni rami. Una volta ripreso l’equilibrio, continuò ad avanzare non senza timori. Tutto a un tratto, gli sembrò che un lembo di quel bagliore si staccasse dal resto e volasse via come se si fosse reso conto di un impegno improvviso. Osservò quella minuscola luce galleggiare in aria e disegnare cerchi sempre più grandi nella notte. Poi quel flebile bagliore svanì, come inghiottito dall’oscurità. Qualcosa dentro il ragazzo, però, continuò a fluttuare, a muoversi fra le pieghe dei suoi pensieri, al di qua dei suoi occhi chiusi. Poteva vederlo ma non riusciva ad afferrarlo, poi, così come era arrivata, quella piccola luce dentro di lui svanì. E si ritrovò solo. Fu una musica familiare a ridestarlo da quel torpore. Veniva sempre da laggiù, da quel grande bagliore a intermittenza che, dopo la piccola distrazione, aveva ripreso a vibrare con più vivacità. Continuò ad avanzare e in poco tempo ridusse le distanze fra sé e la luce. Quando i contorni di una macchina in fiamme gli si palesarono davanti, capì immediatamente cosa stesse succedendo: invece di arretrare e chiamare rinforzi, agì d’impulso e si mise a correre verso l’incendio.
***
Una coltre spessa di fumo aveva ormai riempito l’abitacolo dell’auto, rendendo l’aria bollente ed irrespirabile. Pensò di essere spacciato e che la sua ora fosse giunta; ne era così convinto, che rinunciò a lottare, chiuse gli occhi e si lasciò andare, in attesa che le immagini della sua vita gli turbinassero nella testa. Ma l’unico pensiero che gli martellava il cervello era sua sorella incinta di otto mesi e il nipotino che, molto probabilmente, non avrebbe mai potuto tenere in braccio. Poi un frastuono lo riportò in quell’auto in fiamme e ormai prossima al collasso. Frammenti di vetro lo colpirono sulle braccia e sul viso. Un attimo prima di perdere conoscenza per colpa dei fumi respirati, fece in tempo a vedere un paio di braccia che lo trascinavano fuori da quella trappola di lamiere.
***
I vigili del fuoco e l’ambulanza arrivarono quasi nello stesso istante: i primi si presero cura dell’uomo esanime, gli altri si occuparono di domare le fiamme che martoriavano ormai completamente quell’ammasso di ferraglia, che un tempo non troppo lontano era stata una macchina. Un’infermiera si avvicinò al ragazzo disteso carponi nell’erba, per chiedergli come stesse e se necessitasse del loro aiuto.
“È vivo?” fece lui, in tutta risposta.
“Sì, abbiamo un debole battito. Non è ancora fuori pericolo però, ora lo portiamo all’ospedale. Ma cosa è successo? Tu eri in macchina con lui?”
“No, la mia auto è laggiù da qualche parte. Mi sono solo fermato per dare una mano”
“Beh, lasciatelo dire, figliolo: sei stato molto coraggioso. Ora però devi rimanere qui: sta arrivando la polizia che sicuramente vorrà parlare con te. Noi andiamo via con lui”
Quando l’ambulanza partì, i vigili del fuoco erano ancora intenti ad occuparsi delle fiamme, che ora si erano allargate alla vegetazione appena lì dietro il punto dell’incidente. Approfittò di quell’attimo per sgattaiolare via e tornare silenziosamente alla sua auto. Poi, senza accendere i fari, mise in moto, fece inversione e tornò da dove era venuto. 

Nonostante avessero saltato il soundcheck a causa del suo clamoroso ritardo, il concerto andò benone e il numeroso pubblico parve apprezzare la loro musica. Come spesso succedeva dopo una performance, il ragazzo si allontanò dal resto gruppo e andò verso il bar. Chiese un Jack Daniel’s al tizio dietro al bancone e prese a sorseggiare avidamente dal bicchiere di vetro.
“Complimenti. Avete davvero un gran bel suono” fece il barista. Solo allora il ragazzo si accorse che l’uomo era lo stesso che li aveva seguiti da dietro il mixer per tutta la serata.
“Grazie... beh, parte del merito è stata anche tua. Per colpa mia non abbiamo fatto il soundcheck e sei comunque riuscito a regolare i volumi fuori e di palco come Dio comanda”
“Meno male! Pensa che non sono nemmeno un fonico! Quello stronzo che lavora per noi questa sera non si è nemmeno presentato e ho dovuto improvvisare”
“Apperò, allora i complimenti mi sa che te li dobbiamo fare tutti noi”
Accompagnò quella frase girandosi un poco verso il palo, in direzione dei suoi soci. Non li vide, e il suo sguardo sembrò concentrarsi sulla gente in pista, intenta a ballare la playlist del DJ di turno. Ma in realtà il suo era uno sguardo poco penetrante, quasi del tutto assente. Nella sua testa per qualche istante fece capolino il volto di sua madre, il contorno dei suoi occhi, il ricordo della pelle lattescente. Ma non erano altro che immagini sfocate e intermittenti, proprio come quella piccola luce che si era librata nell’aria qualche ora prima. Poi girò lo sgabello in direzione del bancone e chiese al poliedrico barista di riempirgli il bicchiere con un altro po’ di whiskey. 
***
In ospedale, all’uomo venne fornita una respirazione prolungata con ossigeno ed essendo un caso abbastanza grave il trattamento venne effettuato in una camera a pressione. Ancora sedato, venne portato in terapia subintensiva e ci rimase per l’intera notte. Quando l’indomani mattina riaprì gli occhi, le prime persone che vide furono il marito della sorella e suo padre. Sollevati da quel risveglio, i due presero a stringerlo e a parlargli con rinnovato entusiasmo. Non riusciva a sentirli, però. Si sentiva ancora distante, come se solo il suo corpo fosse in quella stanza e la sua mente altrove, fluttuante come una piccola luce nell’aria. Rimase così per diversi minuti. In quei lunghi attimi, nella stanza seguì un via vai di dottori e infermieri che lo esaminarono da cima a fondo, scrutandogli gli occhi, toccandogli gambe e dita dei piedi. Continuava ad ascoltarli senza realmente riuscire a farlo. Il suo corpo, almeno, sembrava reagire ad ogni stimolo. Ritenne fosse un buon segno. Cinque minuti dopo arrivò anche sua sorella, ma lui si era già riaddormentato. Sognò cose belle: di recitare nell’opera Il Malato Immaginario di Moliere e, ovviamente, di cantare coi Backstreet Boys. 




Commenti

Post più popolari

Goodreads