Recensione 📚 Goodbye Hotel di Michael Bible – Dove si posa lo spirito quando il mondo non basta più?

“A volte per sparire basta un posto qualunque e due testimoni silenziosi.” 

Dopo L’ultima cosa bella sulla faccia della terra, Michael Bible - tradotto da Martina Testa per Adelphi -  torna con un romanzo più smorzato nei toni, ma altrettanto affilato nella sostanza. Goodbye Hotel non cerca il colpo di teatro, non urla – sussurra. E mentre sussurra, ti trascina in una provincia americana fuori fuoco, dove la colpa, la memoria e il tempo si fondono in un’atmosfera a metà tra il western evaporato e il realismo magico con l'accento sudista.
La trama (o l’incidente visto da quattro creature confuse)

Un motel. Un uomo di nome François. Un passato che non si scrolla di dosso. Una donna, Eleanor, che custodisce segreti come reliquie. E due tartarughe chiaroveggenti, Lazarus e Little Lazarus, che si muovono lente ma puntuali nei momenti chiave. Ah, e un incidente stradale che li lega tutti, in modi diversi.

Il romanzo è costruito come un coro a quattro voci: ognuna con il suo timbro, la sua verità. Non esiste un punto fisso, solo variazioni di prospettiva. È un puzzle rotto di cui ti innamori mentre cerchi di capire se manca davvero un pezzo o se sei tu che lo stai guardando storto.
Punti Forti

✅ Una scrittura rarefatta e visiva. Lo scrittore newyorkese ha il dono della sottrazione. Le sue frasi arrivano dritte, con la grazia stanca di chi ha visto troppo e ha deciso di raccontare solo l’essenziale. Se ti piacciono gli scrittori che sembrano parlare a bassa voce sotto un portico, sei nel posto giusto.

✅ Un’atmosfera sospesa. Il Goodbye Hotel non è solo un luogo, è una condizione dell’anima. Tutto galleggia: i dialoghi, i ricordi, i personaggi. A tratti sembra di leggere dentro un sogno post-apocalittico fatto di cenere e silenzio.

✅ Le tartarughe. Non dicono nulla, ma sembrano sapere tutto. Funzionano come simboli misteriosi, come messaggeri muti di una verità fuori portata. In quelle due presenze lente, enigmatiche, fuori dalla logica eppure perfettamente coerenti con il mondo narrativo, c’è la stessa deviazione sottile dalla realtà che si ritrova nei romanzi di Murakami, dove il surreale non è un’esplosione ma una crepa sottile.
Punti Deboli

❌ Meno dirompente dell’esordio. Se il primo romanzo era una pistola carica nascosta nella Bibbia, Goodbye Hotel è più un diario smarrito in un cassetto. Non tutti apprezzeranno il passo rallentato.

❌ Narrativamente ellittico. Se ami le storie dritte come un binario, questo libro ti porterà fuori strada. La narrazione gira attorno all’evento senza mai davvero attraversarlo. Ti lascia intuire, più che mostrare.

❌ Rischio contemplativo. La liricità estrema, a tratti, rischia di appannare l’emozione. Non sempre il tono quieto riesce a tenere accesa la tensione narrativa.
La mia esperienza personale

Goodbye Hotel è un romanzo che si muove lento, ma scava. Michael Bible firma una parabola lisergica sulla colpa, sulla memoria e su ciò che rimane quando tutto il resto è andato. Un racconto in cui il tempo non è lineare, il dolore non è mai spiegato, e i simboli non vogliono essere decifrati, bensì, come gusci di tartarughe, abitati.
Consigliato a chi ama i romanzi sospesi, le creature silenziose, le stanze d’albergo piene di metafore.

FOTO: me, myself and I


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