Recensione 📚 La morte in mano di Ottessa Moshfegh – Il thriller perfetto per chi ama perdersi (e non ritrovarsi)

"Si chiamava Magda. Nessuno saprà mai chi l’ha uccisa. Non sono stato io. Ecco il suo cadavere."

Un biglietto. Nessun cadavere. Solo Vesta Gul, vedova settantaduenne con una fantasia fuori controllo e Charlie, un cane che avrebbe preferito una padrona più stabile. Se ti aspetti un giallo con indagini, indizi e rivelazioni finali… povero illuso. Qui il mistero è uno solo: la sanità mentale della protagonista (e, alla fine, anche la tua).

La trama (o meglio, deliri in tempo reale)

Vesta si trasferisce in una casa isolata per godersi la pensione e l’assenza di rompiscatole. Poi trova un biglietto anonimo nel bosco e, invece di ignorarlo e tornare a fare la spesa, decide che è un segno del destino. Da lì parte per un’indagine surreale dove il confine tra realtà e paranoia si scioglie come neve al sole. Magda diventa una persona vera, il colpevole prende forma, e il mondo si trasforma in un romanzo che solo lei sta scrivendo.

Moshfegh, con la sua solita crudeltà letteraria, ti lascia intrappolato nella mente di una donna che non è proprio al massimo della lucidità. Peccato che questa volta il gioco funzioni solo a metà: dopo Il mio anno di riposo e oblio, che era un colpo di genio, questo sembra più un esperimento non del tutto riuscito. Come quando provi a rifare una ricetta venuta benissimo la prima volta e alla fine sa solo di rimpianto.
Punti forti

✅ Un thriller che prende in giro i thriller – Nessuna trama vera, ma tanta angoscia. Hitchcock sotto acidi.
✅ Vesta Gul, l’eroina che non sapevamo di volere – Lamentosa, logorroica, eppure impossibile da ignorare.
✅ Scrittura chirurgica e disturbante – Moshfegh è come un chirurgo sadico: incide con precisione, ma senza anestesia.
Punti deboli

❌ Finale? Quale finale? – Se ti piace avere risposte, preparati a bestemmiare.
❌ Un po’ troppa psicosi, poca azione – Se volevi un thriller con gente che corre in vicoli bui, qui trovi solo una signora che parla col suo cane.
❌ Politicamente scorretto, ma non abbastanza – Moshfegh poteva spingersi oltre, invece resta in bilico tra genio e ripetitività.
In conclusione

La morte in mano, tradotto in Italia da Gioia Guerzoni, è un libro che finge di essere un giallo, ma in realtà è un esperimento sulla solitudine e sulla mente umana che si autodistrugge. Un romanzo che ipnotizza e irrita, perfetto per chi ama i libri che gli lasciano più domande che risposte. O per chi ha sempre sospettato che la vecchiaia sia solo una lunga allucinazione.

Lo puoi trovare qui
Se è il tuo primo Moshfegh, lascia in stand by e inizia da Il mio anno di riposo e oblio. Se invece lo leggi comunque… beh, almeno avrai qualcosa di particolare da raccontare alla prossima cena noiosa.

FOTO: me, myself and I


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