Gatti ninja e radiazioni cosmiche

(pubblicato su Inchiostro il 16/11/2017 e su Spazinclusi il 21/08/2019)

La lavatrice faceva un rumore infernale. Stava cercando di guardare alla TV uno spettacolo comico di Louis C.K. ma, nonostante i sottotitoli, non riusciva a godersi lo show. Alzò il volume e provò a concentrarsi sul programma. La situazione parve migliorare, ma dopo pochi istanti gli sembrò di udire un altro suono provenire dalla cucina, una specie di ronzio intermittente. Gli ricordò l’audio di un video su YouTube sulla radiazione cosmica, il rumore residuo del Big Bang. Si ricordò di aver letto da qualche parte che tale rumore venne scoperto per caso nei primi anni Sessanta da due giovani scienziati americani, che stavano cercando di aggiustare una grossa antenna di un laboratorio. Che botta di culo quei due, pensò, mentre si alzava dal divano per andare a controllare. Giunto lì, la lavatrice gli sembrò a posto, muta e con il led verde acceso ad indicare il ciclo di lavaggio andato a buon fine. Quel ronzio, però, continuava a vorticargli da un orecchio all’altro. Poi notò qualcosa: lo sportello del frigorifero accanto non era completamente chiuso. Fece due passi verso l’elettrodomestico. girò un poco la testa rimanendo in ascolto e quando lo chiuse, come per magia, il ronzio cessò. Ma il silenzio durò lo spazio di pochi secondi, giusto il tempo di sentire un altro strano suono provenire questa volta da dentro il frigorifero. Come una serie di colpi dall’interno, ma irregolari, niente di meccanico. Riluttante, tornò a sfiorare con le dita la vernice smaltata di bianco, fece un bel respiro e aprì lentamente lo sportello.
Cinquecento metri più in là, mentre stava tornando a casa a piedi dal supermercato, sua moglie sentì un urlo provenire dalla loro casa.
Lo spavento fu così forte che l’uomo rinculò e andò a sbattere contro il tavolo della cucina. Nell’urto fece cadere un bicchiere di vetro che si infranse sul pavimento.
In tutto ciò, il gatto nero non si mosse di un millimetro, rimanendosene accucciato sul secondo ripiano, accanto a un melone ancora troppo poco maturo e a due confezioni di stracchino.
Ripresosi dallo spavento, l’uomo si avvicinò con passo felpato al frigorifero semiaperto. Osservò meglio il felino, come per assicurarsi che fosse proprio vero e non il frutto della sua immaginazione. L’animale gli parve piuttosto in salute, con un corpo sinuoso e asciutto, gli occhi verdi, i baffi radi ma lunghi e affilati come lische di pesce e una coda che sembrava una piccola sciarpa di calda lana. A sua volta il micio lo scrutò attentamente studiando ogni sua singola mossa.
«Come diavolo hai fatto a entrare lì? Da dove arrivi?» Si rivolse al gatto come se l’animale potesse comprenderlo e perfino parlare. Ma ovviamente il gatto non disse nulla e nemmeno diede l’impressione di averci capito molto.
«Via di lì! Scendi subito!» l’uomo accompagnò queste esclamazioni con ampi gesti delle braccia che incuriosirono il micio facendogli roteare la testa, prima a sinistra, poi a destra. Fu un bruciore e una sensazione di caldo e viscido sotto ai piedi a distrarlo da quell’assurda conversazione: ovunque sul pavimento tracce di sangue; del suo sangue. Con la schiena appoggiata al tavolo e in precario equilibrio, l’uomo tirò su una gamba e osservò un frammento di vetro conficcato sotto la pianta del piede destro. L’uomo sfilò con le mani il pezzo di vetro dalla carne e rimase a contemplare per un attimo la ferita sanguinante. Nulla di grave, pensò, ma occorreva medicarsi presto o avrebbe trasformato la cucina in un mattatoio. Guardò il gatto e con fare minaccioso gli puntò un dito contro. «Non ti muovere sai! Torno subito». Dopo aver tamponato la ferita con un tovagliolo di carta, richiuse il frigo e spazzò i vetri saltellando su una gamba e li buttò nella spazzatura, poi salì le scale in direzione del bagno dove avrebbe trovato tutto l’occorrente per occuparsi del taglio.
Ma col pensiero di quel gatto nero entrato chissà come in casa sua, non fece un ottimo lavoro: si medicò in maniera grossolana con del mercurio cromo e si fasciò il piede con una garza usata che aveva trovato tutta appallottolata nell’armadietto dei medicinali. Ridiscese le scale di corsa e planò in cucina. Sul tavolo due enormi buste di plastica bianche nascondevano la silhouette di sua moglie, rientrata in casa pochi istanti prima.
«Ma cosa diavolo è successo qui? Perdi sangue?»
«Sì non è niente: mi sono distratto, ho fatto cadere il bicchiere e mi sono tagliato» alzò il piede destro per fare notare la rudimentale medicazione applicata.
«Mi dispiace tesoro, ora mettiti delle ciabatte e resta qui seduto mentre io finisco di mettere a posto la spesa» la donna tirò fuori da uno dei due sacchetti una confezione da sei di yogurt probiotici all’ananas e si diresse verso il frigorifero.
«No! Ferma! Non aprirlo»
La moglie lo guardò perplessa.
«Ma che ti prende? Dove dovrei metterla ‘sta roba secondo te?»
«C’è un gatto lì dentro»
«Mmmm, no. C’è del pollo, avanzato ieri a pranzo. Noi non mangiamo i gatti»
«Vivo intendo! Dai su, un cazzo di gatto nero. Vivo»
«Tu non stai bene…» E nel finire la frase fece per avvicinarsi al frigo e richiudere la mano sulla maniglia.
«No! »
Quel tono di voce spaventò la donna che si scansò e rimase incredula a fissare il marito.
Quando l’uomo ebbe aperto lentamente lo sportello del frigorifero, con suo sommo stupore, notò che il gatto era sparito.
A braccia conserte la moglie sospirò e scosse un poco la testa «Giuro, mi stai facendo paura»
«No! Mi devi credere, qui dentro c’era un gatto fino a due minuti fa! Era proprio lì – indicando il secondo ripiano – io ho richiuso lo sportello per andare in bagno a disinfettarmi il piede. Quello deve aver trovato il modo di aprirlo e uscire.»
La donna trattenne a stento una risata isterica «Beh perlomeno si è ricordato di richiuderlo. Cosa che a te non sempre succede»
«Pensi che mi sia bevuto il cervello, non è vero? » urlò l’uomo – «Ora ti faccio vedere io» Non lasciò alla moglie diritto di replica: si diresse verso l’ingresso della casa, infilò i piedi in un paio di logore scarpe da ginnastica e uscì fuori dalla casa sbattendo con fragore la porta. Il sole era tramontato da poco e la temperatura aveva già cominciato a calare.
Detestava quando qualcuno non gli dava credito, trattandolo come un bugiardo. Era una cosa che proprio lo faceva andare ai matti. Quando poi a riservargli questo tipo di trattamento era la moglie, la cosa lo mortificava ancora di più. Era la classica situazione che lo portava a porsi scomode domande e a temere che nel suo matrimonio ci fosse qualcosa che non andava. Nonostante da mesi non dormissero più nello stesso letto, la loro relazione era una delle poche cose che lo tenesse saldamente ancorato alla realtà, impedendogli di perdersi fra le pieghe della vita. Quella poi era stata una giornata particolarmente uggiosa. Non aveva combinato nulla: era rimasto sul divano per la maggior parte del tempo a mangiare schifezze e a guardare programmi trash alla tv. Quando capitavano giorni del genere il suo umore e la sua autostima sprofondavano, non c’era nulla da fare. Solo il sopraggiungere della notte poteva invertire questo trend. E a volte nemmeno quello bastava.
Il gatto, invece, in un certo senso aveva scongiurato questo pericolo. Aveva interrotto il lento e indolente incedere della sua giornata ed aveva offerto un diversivo a quella che sarebbe stata una serata dolorosamente anonima. Uscì proprio con quell’intento. Lo voleva trovare, voleva tornare dalla moglie con la prova tangibile dell’autenticità della sua versione dei fatti. Non poteva pensare di rientrare a casa senza la certezza che avesse ragione lui.
Dapprima provò nel perimetro del giardino. Guardò fra le siepi attorno alla piscina e, guidato dall’illuminazione esterna, perlustrò il prato ma senza fortuna. Controllò dentro al capanno degli attrezzi nel caso il micio fosse riuscito a spingere la maniglia della porticina di ferro. D’altra parte, pensò, in qualche modo era pur riuscito a infilarsi nel suo frigorifero! Ma la ricerca procedeva infruttuosa. Accese anche le luci sul fondo della piscina per vedere se per caso il gatto non si stesse nascondendo sotto il pelo dell’acqua. Si chiese quanto un felino potesse resistere in apnea. E se avesse mai visto un gatto farsi una bella nuotata di sua spontanea volontà. Nessuna di queste domande trovò risposta. Il cielo si aprì un poco lasciando intravedere una bella fetta di luna. Quasi contemporaneamente un vento gelido si alzò dal mare e avvolse presto tutti. In altre circostanze andare alla spiaggia, a quell’ora e in quelle condizioni meteo, sarebbe stato fuori da ogni logica. Non quella sera. Tornò al capanno, prese una torcia e si spinse oltre la sua proprietà, verso la spiaggia, alla ricerca di un gatto nero. Una specie di gatto ninja in grado di intrufolarsi in case altrui e forzare frigoriferi.
Vagò per diverso tempo percorrendo tutta la lingua di sabbia, dalla scogliera vicino casa, passando anche sopra al vecchio pontile, fino allo stabilimento balneare. Dopo quel piccolo tratto di spiaggia attrezzata era quasi impossibile proseguire: la montagna, infatti, terminava con un lungo muro di roccia compatto che si tuffava direttamente in acqua. Difficile pensare che il felino fosse passato da quella parte.
Intanto, il vento freddo aveva preso a soffiare ancora più forte e il mare si era ingrossato. L’uomo, madido di sudore, se ne accorse a malapena, anche quando le onde raggiunsero le sue scarpe inzuppandolo fin sopra le caviglie. Proseguì la sua personalissima battuta di caccia fino a quando le batterie non lo abbandonarono, lasciandolo al buio. Bestemmiò rivolgendo al gatto offese inaudite e lanciò la torcia fra le acque spumose e irrequiete. Ormai aveva ben poche speranze di ritrovare il felino. Per la prima volta da quando era uscito fuori di casa, lo sfiorò l’idea che forse non lo avrebbe più rivisto. Che forse nel suo frigo nemmeno c’era mai entrato. Sentì freddo. Ma non era il corpo a dargli questa sensazione. Era piuttosto dall’interno che sentiva fluire il gelo. Sentì una stretta forte al cuore e, per un attimo, pensò a un infarto. La morsa al petto passò ma invece di giovarsene si sentì maledettamente solo. Solo come non lo era mai stato. O forse sì. Forse questa immane solitudine lui la conosceva di già. All’improvviso l’uomo si girò verso il mare e gli andò incontro a passi decisi. Non cambiò direzione nemmeno quando l’acqua gli arrivò al petto bagnandogli tutti i vestiti. Sentì soltanto i denti battere ma ormai erano entità distinte da lui, come se il suo corpo fosse un guscio. Lui era già da un’altra parte o probabilmente, come per il gatto, non c’era mai stato davvero.
Chi si fosse trovato sulla spiaggia in quel momento avrebbe visto un’onda alta quasi due metri abbattersi sul bagnasciuga risucchiando il corpo di un uomo e portarselo via dove c’è silenzio. Dove regna il buio più profondo.
Più o meno un’ora dopo sua moglie chiuse lo schermo del portatile rimandando la correzione dei compiti in classe. L’occhio sinistro non voleva smettere di pizzicare e si diresse in bagno per mettersi del collirio. Era tardissimo ma l’assenza del marito non la turbava in maniera eccessiva. Non era la prima volta che la abbandonava nel bel mezzo di una discussione. Col tempo aveva persino trovato il modo di farsi piacere questo suo vezzo. In fondo la inteneriva un po’ il modo in cui si offendeva, le voltava le spalle e se ne andava chissà dove, chissà per quanto. Uscendo dal bagno passò accanto alla stanza del figlio. Era da tanto che non ci entrava. Per lei era molto difficile farlo. Quella sera però sentì l’impulso di fermarsi e di aprire la porta. Appoggiò la mano al pomello e con l’orecchio sfiorò il legno levigato della porta, per origliare di nascosto, come a volte in passato aveva fatto. Non sentì nulla, come normale che fosse. Spinse con la mano e la aprì per metà. Poi tastoni, cerco l’interruttore della luce. Si stupì di non riuscire ad individuarlo al primo colpo. Quando lo trovò, la luce si accese e lei sbirciò finalmente meglio. La stanza non era cambiata per niente: il letto con la trapunta verde, il poster degli Oasis sopra la scrivania bianca in legno compensato, la piccola libreria con tutti quei fumetti giapponesi e il modellino scala 1 a 24 di una Ferrari, di quelle che correvano in Formula 1 e di cui il figlio era grande appassionato. Se non fosse stato per la pila di libri di suo marito lasciati sul comodino, le sarebbe quasi potuto sembrare di muoversi attraverso un’allucinazione. Era dal giorno dopo che avevano denunciato la sua scomparsa ai carabinieri che lui aveva preso l’abitudine di dormire nella stanza del figlio. Lei non si era opposta (come avrebbe potuto?), ma stare sola, la notte, aveva reso il suo sonno irregolare e tormentato e i suoi sogni, ormai, erano quasi indistinguibili dagli incubi. Le mancava quel calore nel letto ma a volte si chiedeva a cosa servisse scaldarsi quando era chiaro che qualcosa nel suo cuore si era affievolito, forse per sempre. Spense la luce e richiuse la porta prima che la malinconia la ghermisse. Tornò in cucina e, nonostante l’ora tarda, decise di preparare una bella cena per lei e per il marito. Aveva voglia di pasta con le melanzane, così riempì d’acqua la pentola e la mise sul fuoco. Prese una manciata di sale grosso dal barattolo e la buttò nell’acqua. Dalla dispensa scelse delle penne e una passata di pomodoro, poi andò verso il frigorifero per prendere una melanzana. Quando fu davanti allo sportello si fermò, senza sapere bene perché. Chiuse gli occhi e per un attimo sperò di trovare davvero un gatto dentro quel frigo. Inspirò ed espirò profondamente. Quando aprì, il gatto non c’era e la donna si sentì maledettamente sola. Sola come non lo era mai stata. O forse sì. Forse anche per lei questa immane solitudine era familiare. Afferrò una melanzana e richiuse il frigorifero. Più o meno in quell’esatto istante la porta all’ingresso si spalancò e suo marito, fradicio dalla testa ai piedi e sporco di alghe e mucillagine, entrò in casa. La donna cacciò un urlo strozzato e per qualche secondo i due rimasero in silenzio a guardarsi. A spaventare la moglie, più di tutto il resto, furono gli occhi dell’uomo, spaesati e sofferenti. Poi lei gli corse incontro e lo aiutò a togliersi di dosso i vestiti bagnati «Oddio ma che ti è successo?»
«Non l’ho trovato…» il marito non riusciva a parlare dal freddo, le labbra erano violacee e l’occhio sinistro appariva gonfio e contuso.
«Che cosa? Di che parli?»
«Il gatto… non l’ho trovato»
«Non ti preoccupare, non ha importanza»
Aiutò il marito a sedersi su una sedia e gli diede una mano a togliersi i pantaloni e la scarpa da ginnastica, l’unica che ancora indossava.
L’uomo cominciò a singhiozzare e sua moglie non riuscì a capire se fosse in preda a sussulti di freddo o a un pianto liberatorio. Stando in ginocchio, lo cinse con le braccia e lo strinse forte a sé, finendo col bagnarsi completamente a sua volta.
«Ho freddo» fece lui
«Lo so. Rimani qui che vado a prendere dei vestiti asciutti, per tutti e due»
Più tardi mangiarono pasta con le melanzane e dormirono nello stesso letto, come non capitava da un bel po’ di tempo.





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