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(pubblicato su Rivista Blam! il 03/06/2020)

Lavorava come cameriere in quel ristorante da circa due mesi, ma a lui erano sembrati lunghi due anni. Ancora due giorni, invece, e avrebbe comunicato ai suoi genitori di essersi ritirato dall’università. Poi, aveva giurato a sé stesso, avrebbe ricominciato tutto daccapo. Niente scherzi stavolta.

Un capello, gli disse il cliente, con una punta di disappunto. C’era un capello nella sua vellutata di zucca. Il ragazzo immaginò di prendere la pietanza e rovesciargliela in testa. Nel mondo reale, però, si scusò diligentemente e riportò indietro il piatto.

Una volta in cucina, si guardò bene dal farlo preparare di nuovo: con le dita tolse quel capello dalla zuppa e lo lanciò nel bidone dei rifiuti; lo guardò piroettare in quell’immenso recipiente e finire la sua corsa su tutti quegli avanzi di cibo con i quali avrebbe potuto sfamarsi per giorni. Aspettò qualche minuto disimpegnandosi alla cassa. Preparò il conto a un cliente, poi a un altro e a un altro ancora. Finì un po’ lungo insomma, e solo quando staccò l’ultimo scontrino, riuscì a tornare in cucina per afferrare il piatto e portarlo in sala. Ma ormai era tardi: la vellutata era già fredda, immangiabile disse l’uomo al tavolo. Il cameriere, falso come una banconota da sei euro, si finse cortese e desolato, ritirò il piatto e tornò sui suoi passi. Entrò in cucina intimando ai cuochi di preparare un’altra cazzo di vellutata di zucca. Una volta pronta, il ragazzo, di nascosto, ci sputò dentro. Un grosso bolo di catarro giallognolo che si sposò piuttosto bene con il colore della zucca. Mescolò un poco col dito e tutto soddisfatto tornò in sala.

Questa volta non ci furono intoppi, l’uomo mangiò tutto fino all’ultimo cucchiaio mentre, fra un servizio e l’altro, il cameriere sbirciava sadicamente. Quando fu il momento di pagare il conto, il distinto signore gli lasciò una lauta mancia, la più alta che avesse mai ricevuto. La cosa lasciò in qualche modo un segno sul ragazzo che, intanto, si era avvicinato al tavolo del cliente per sparecchiarlo. Indugiò un istante prima di iniziare. Poi accadde che si morse il labbro fino a farselo sanguinare. Subito dopo, prese posto sulla sedia abbandonata, afferrò la bottiglia e versò l’ultima goccia di vino rosso nel bicchiere sporco. Mentre beveva, nella bocca percepì il sapore ferroso del sangue mischiarsi con quello più pastoso e tannico del vino. Non sentì la voce sdegnata del caposala che gli intimava di alzarsi e di tornare a lavorare.









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