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Ma che importanza hanno le ‘parole’ all’interno della musica rock? 
Messo spesso in secondo piano dalle distorsioni di chitarra, dagli assoli primordiali di basso e dal picchiare selvaggio della batteria, l’uso delle parole nell’universo musicale è storicamente stato accessorio al rock stesso. Punteggiatura all’interno di prose taglienti ed impetuose.
I Verdena, alfieri dell’indie-rock italiano sin dal 1999, lo sanno bene ed infatti hanno spesso relegato i testi dei loro brani a ruoli di secondo, se non terzo piano. Frasi sgangherate travestite da concetti ermetici, buttate lì, a caso, fra una nota e l’altra.

Eppure..

Eppure, nel brulicante panorama rock italiano, il lessico verdeniano ha un merito che molto difficilmente possiamo riconoscere ad altre band: i loro testi, infatti, pur se ornamentali, nella ‘forma’, alla musica espressa, hanno, nella ‘sostanza’, una clamorosa liricità che si trasforma in un’imponente cassa di risonanza. Accompagnate magistralmente dalla base strumentale, le parole, all’apparenza vuote, si ‘accendono’ non appena vengono pronunciate dalla voce efebica e malinconica di Alberto Ferrari. Come se il canto sconclusionato di “per lei io mi deflagherei” potesse davvero innescare una fragorosa esplosione..
In alcun modo, quindi, il testo delle canzoni deve rimanere prigioniero della mente del lettore/ascoltatore. Al contrario, le parole che costellano i brani dei Verdena vanno espiate, recitate, quasi fossero un incantesimo tratto da un libro di stregoneria. Così facendo, la canzone si anima e la ‘magia’, finalmente, ha inizio.

Tirate fuori dagli zaini e dalle tasche dei cappotti i vostri smartphone, e riproducete su Spotify brani come “Razzi, arpie, inferno e fiamme”, “Miglioramento” o qualsiasi altra canzone partorita dal power trio di Bergamo e.. let the magic begin.

Provare per credere


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