Recensione 📚 Addio, bella crudeltà di Riccardo Meozzi – una cartolina strappata dall’adolescenza
"Non è una redenzione, non è una rinascita da manuale. È una transizione, lenta, ruvida, vera."
Mi sono imbattuto in Riccardo Meozzi anni fa, leggendo un suo racconto pubblicato su Malgrado le Mosche. Mi aveva colpito per il tono crudo e intimo, per quella scrittura che sembrava venire da una ferita ancora aperta. Ritrovarlo oggi al suo esordio romanzesco con Addio, bella crudeltà (edizioni e/o, 2025) è come riaprire quello stesso taglio, senza certezze che, questa volta, basti un cerotto.
La trama (o il romanzo di formazione con la malattia nel cuore)
Anni '90. Lidia e Giovanni si amano con la radicalità cieca dei vent'anni. Lui è più grande, ombroso, segnato da emicranie che sfociano in esplosioni di rabbia. Lei è chiusa, fragile, oppressa da una madre autoritaria e un ambiente familiare poco accomodante. Si trovano, si scelgono, si chiudono il mondo fuori. Si sposano subito dopo il liceo. Ma presto la malattia – un tumore al cervello – ribalta i ruoli: Giovanni diventa debole, Lidia resta. Assiste, regge, prende in mano le redini di un amore che non ha più niente di romantico.
Addio, bella crudeltà è sì un romanzo d’amore, ma anche un'autopsia delle dinamiche di potere, dei corpi, della formazione del sé attraverso lo sguardo altrui. Lidia, soprattutto, è un personaggio che resta. Da 'oggetto' dello sguardo maschile, da giovane donna che non sa valutarsi se non attraverso gli occhi di chi la desidera, diventa finalmente 'soggetto'.
Punti Forti
✅ Struttura narrativa raffinata: il tempo che scorre all’indietro è una scelta coraggiosa e riuscita. Serve a disseppellire la storia come si fa con i resti, con cautela e rispetto.
✅ Scrittura sobria e precisa: ogni parola è un chiodo piantato con decisione. Non si cerca effetto, solo significato.
✅ Un personaggio femminile potente: Lidia, nel finale, non cerca salvezza. Cerca lucidità .
Punti Deboli
❌ Un dolore senza tregua: il libro non concede pause o sollievi emotivi. È una discesa lenta, ma inesorabile.
❌ Il rischio del non detto: la sottrazione stilistica può risultare spiazzante per chi cerca spiegazioni, risposte, closure. Qui non ce ne sono.
La mia esperienza personale
Quello che più colpisce è la scrittura. Meozzi non urla, non cerca pietà , non indugia nel dolore. Scrive con un’attenzione millimetrica, con una voce esigentissima. Per me, in queste pagine si sente forte l’influenza di Annie Ernaux, nella capacità di ridurre la narrazione all’essenziale per lasciare spazio all’esperienza. E anche di Emmanuel Carrère, nell’ossessione per ciò che resta dopo la frattura, dopo l’irruzione dell’evento nella vita privata.
In conclusione
Addio, bella crudeltà è una cartolina strappata dall’adolescenza, scritta con inchiostro indelebile. È il racconto di una giovinezza che non ha tempo per l’elegia, che viene spezzata prima di diventare adulta. Ma è anche la storia di una donna che si ricompone. Di un amore che non si salva, ma insegna. Di una scrittura che sa trattenere il dolore senza farlo esplodere.
Se siete fra quelli che pensano che tutto chiede salvezza, questo libro vi costringerà a riconsiderarlo.
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