Recensione 📚 La fuga dei corpi di Andrea Gatti – sulla strada per sparire (ma i mostri ci seguono)
“Per capire chi siamo abbiamo innanzitutto bisogno di capire chi non siamo.”
Ci sono romanzi che raccontano un viaggio, e poi c’è La fuga dei corpi (Pidgin, 2021), che ti fa dubitare dell’esistenza stessa di una destinazione. Andrea Gatti non scrive solo una storia on the road: costruisce un pellegrinaggio laico, un ex-voto narrativo dedicato a chi ha provato a fuggire dalla propria ombra… e ha scoperto che l’ombra corre più veloce.
La trama (o la smagliatura del sogno)
Due ragazzi – Vanni e Daniel – zaino in spalla, strumenti in mano, e un’idea in testa: lasciare tutto alle spalle. Dimenticare Roma, Bologna, le lauree inutili, i lavori senza senso. Meta dichiarata: Cala Bruja, luogo mitico sulla costa andalusa, comunità libera e invisibile, rifugio per anime disilluse.
Ma la strada, come sempre, non è solo strada. È una lente d’ingrandimento, un palcoscenico dove ogni emozione recita il suo pezzo fino a perdere la voce. Ed è qui che comincia davvero il romanzo: nei silenzi tra un canto e l’altro, nelle tensioni sottili, nel fallimento dell’utopia.
Punti Forti
Punti Deboli
La mia esperienza personale
Ho letto La fuga dei corpi in un momento in cui avevo voglia di mollare tutto. E per qualche capitolo, mi sono illuso che potesse esserci un altrove dove la fuga bastava. Poi, pagina dopo pagina, Gatti mi ha ricordato che il vero nemico non è il mondo, ma quello che ci portiamo dentro. E che la natura umana – con la sua rabbia, il suo desiderio, la sua fame di senso – è un avversario temerario. Impossibile da battere, difficile da amare.
In conclusione
La fuga dei corpi è una canzone suonata in un cerchio magico per le strade d’Europa. Una canzone che parla di amicizia, fallimenti, identità sbriciolate e sogni sgonfiati dal vento. È un viaggio che non consola, ma risveglia. Un libro per chi ha cercato la libertà e ha trovato solo se stesso, nudo, nel mezzo del nulla.
Consigliato a chi non ha ancora fatto pace con la Beat Generation.
FOTO: me, myself and I |
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