Recensione 📚 Yellowface di Rebecca F. Kuang – Il successo che si trasforma in bugia

 "Se non riesci a batterli, rubagli il manoscritto."

Rebecca F. Kuang in "Yellowface" dipinge un ritratto feroce e avvincente del mondo dell'editoria americana, fatto di invidie, bugie e un pizzico di follia. Come Dario Ferrari in "La ricreazione è finita" per l'editoria italiana, Kuang svela la tossicità delle dinamiche editoriali d'oltreoceano. Se pensavi che la letteratura fosse un ambiente elegante e intellettuale, preparati a scoprire il lato tossico delle librerie patinate.

La trama (o come rubare una carriera letteraria)

June Hayward e Athena Liu sono due scrittrici, ma solo una delle due ha successo. Athena, giovane autrice cinoamericana, è la beniamina della critica e delle case editrici; June, invece, ha pubblicato un romanzo dimenticato da tutti. Quando Athena muore in circostanze assurde (un pancake assassino), June si impossessa del suo manoscritto incompiuto: un romanzo storico sui lavoratori cinesi nella Prima Guerra Mondiale.

Per farlo suo, June aggiunge qualche ritocco, elimina le parti troppo "etniche" e pubblica il romanzo sotto lo pseudonimo di Juniper Song. Il libro diventa un bestseller, ma il successo ha un prezzo: minacce online, accuse di plagio e razzismo, e un vortice di ansia che la trascina verso un abisso autodistruttivo.

Punti Forti

Satira affilata del mondo editoriale: Kuang mostra i giochi di potere, le ipocrisie e le dinamiche tossiche che animano l'industria del libro. Qui non ci sono autori idealisti, ma sopravvissuti in cerca di fama. 

Tema dell'appropriazione culturale: Il romanzo si interroga su chi abbia il diritto di raccontare certe storie, mettendo a nudo le contraddizioni del "politicamente corretto". 

Stile scorrevole e incalzante: Kuang scrive con ironia tagliente e ritmo serrato, trasformando la discesa di June in una spirale ipnotica.

Punti Deboli

Personaggi scomodi: June non è una protagonista simpatica, e il suo comportamento crea un costante senso di disagio. Ma forse proprio questo rende il libro così riuscito. 

Sviluppi prevedibili: Alcuni snodi narrativi sono facilmente intuibili, anche se il modo in cui vengono raccontati li rende comunque avvincenti.

La mia esperienza personale

Leggere "Yellowface" è stato come assistere a uno spettacolo pirotecnico: scintillante, caotico e imprevedibile. Ogni capitolo aggiunge un pezzo a questo puzzle di colpe e bugie, e più June prova a giustificarsi, più la sua maschera si sgretola. Alla fine, è impossibile non chiedersi: e se fossi stato io nei suoi panni, cosa avrei fatto?

In conclusione

"Yellowface", brillantemente tradotto da Giovanna Scocchera per Mondadori, è un romanzo che spinge il lettore a riflettere sul prezzo del successo e sulle distorsioni dell'industria culturale. Kuang firma un'opera provocatoria e brillante, che si legge d'un fiato ma lascia un retrogusto amaro.

Consigliato a chi ama i thriller psicologici, le storie satiriche e le riflessioni su identità e appropriazione culturale.

E adesso scusatemi: devo controllare che nessuno abbia rubato il mio taccuino.

FOTO: me, myself and I


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